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Menu a base di carne di maiale

Gelatina, jalatina
salsiccia e costolette
insalata verde
olive
crudità
sanguinaccio, sancièli
mustazzòla
fichi d’India, ficumòri
caffè d’orzo

Il primo freddo viene salutato secondo tradizione con il sacrificio del maialino di casa, allevato scrupolosamente con fave secche, carrube e crusca impastata per renderne più saporita la carne. Il rito si celebra nel grande cortile interno alla masseria, bagghiu. Un rito millenario, sempre forte a vedersi non solo per chi, come me, è nata e cresciuta in città. Credo anche per chi fin da piccolo ne è stato abituale spettatore. Legge di sopravvivenza divenuta consuetudine sull’altopiano, che nessuno ha mai pensato di mettere in discussione.
È il sangue caldo della ferita al collo che si prende per primo e si raccoglie in un recipiente di terracotta. Servirà per il sanguinaccio, sancièli. Con la mano si mescola energicamente per non farlo raggrumare e dopo si versa in due bacinelle per farne sancièli salato e sancièli arùci. Il primo va condito con sale quanto basta, uno spicchio d’aglio tritato finissimo, pepe nero e peperoncino, secondo il gusto. Il secondo invece con un pizzico di cannella in polvere, tre cucchiai mandorle pizzute di Avola, tritate e una tavoletta di cioccolata sbriciolata al mortaio. Si riempiono del sangue così condito due grosse budella, strette da spago per alimenti a una punta e all’altra. Poi si immergono - in due pentole diverse - nell’acqua appena calda. Il sanguinaccio cuocerà entro dieci minuti a fuoco lento. E andrà servito freddo, tagliato a fette non sottili.
E ora la gelatina, jalatina. Ho fatto lessare in acqua salata la polpa della testa, una zampetta, le orecchie, la coda. Fin quando la carne non si è staccata dalle ossa. A fine cottura l’ho sistemata, ancora tiepida, alternando le parti magre e quelle grasse, su un canovaccio di lino grosso tessuto al telaio. E ho avvolto il tutto strizzando ben bene come a formare un cilindro. Infine ho filtrato il brodo in un’altra pentola, lasciandolo riposare in dispensa per tutta la notte.
Adesso vado a eliminare con un grosso cucchiaio il grasso solidificato che si è formato in superficie e, dopo aver riscaldato appena il brodo gelatinoso, aggiungo succo di limone e di arancia amara. E un po’ d’aceto ancora. Taglio a fette spesse la carne che nel frattempo si è raffreddata e compattata, poi la sistemo in due piatti ovali di ceramica. Verso il brodo fino a coprirla e lascio rapprendere sul davanzale. Grazie all’aria fredda autunnale tra meno di un paio d’ore sarà un unico amalgama gelatinoso.
Preparo anche il lardo, che non possiamo consumare subito. Sarà un buon cibo per l’inverno.
Taglio un bel pezzo di cotenna di schiena comprensiva del lardo e la strofino con abbondante sale e pepe nero. La stessa operazione ripeterò domani e per quattro giorni ancora. Poi ne farò tanti piccoli pezzi e li sistemerò a strati in una stipa di terracotta gialla. Aggiungendo ancora sale e pepe nero. Si conserverà ottimamente nella dispensa aerata, ripuostu, ben chiuso dal pesante coperchio.
E poi lo strutto e la sugna, saìmi. Il primo si ottiene dopo la bollitura in acqua di pezzi di lardo di schiena, l’altra invece dal grasso bianco attaccato alle costole, pure bollito in acqua. Serviranno entrambi per gli impasti e la frittura dei dolci.
Adesso la salsiccia. Con la mia vecchia macchina di ferro trito grossolanamente un bel pezzo di carne mista di parti magre e grasse e dopo la condisco con sale fino, pepe, vino rosso e semi di finocchio. Sostituisco nella macchina i due pezzi tritacarne con l’imbuto apposito a bocca larga e da qui faccio passare la carne direttamente nel budello, chiudendo infine le punte con sottile spago per alimenti. In due padelle diverse faccio sbollentare in poca acqua sia la salsiccia che quattro belle costolette. Le farò rosolare al momento di mangiarle.
E ora il dessert. I mustazzòla sono tra i biscotti più antichi e poveri della tradizione contadina modicana. Mescolo sulla spianatoia due tazze colme di farina di grano duro con due cucchiai di mandorle pizzute di Avola, triturate e piccolissimi pezzi di scorza d’arancia. Nella fossetta centrale verso un bicchiere di miele di satra, già liquefatto a fuoco lento, che assorbirà quel tanto di farina sufficiente per un impasto morbido ma consistente. Formo coi palmi delle mani un grosso cordone che taglio a tocchetti. Poi in forno caldissimo per dieci minuti.
Sfoglio un sedano dolce e una lattuga tenera, che taglio a grossi pezzi. Scelgo come contorno ancora le mie belle olive verdi, che ho schiacciato e condito con aglio, semi di finocchio, peperoncino, olio d’oliva e aceto.
Sistemo in bella vista nella fruttiera i fichi d’India, ficumòri, che sbuccerò prima di servirle.
Apparecchio la tavola con una tovaglia di cotone a quadrucci bianchi e blu, posate col manico di legno e bicchieri infrangibili; due piatti piani – uno più largo e uno più piccolo sopra – per la gelatina che farà da antipasto. La porto subito in tavola con le olive verdi per contorno.
Intanto lascio rosolare le costolette e la salsiccia in due padelle diverse prima di innaffiarle con uno spruzzo di vino rosso. Bisogna mangiarle caldissime!
A seguire il sancièli salato, ormai perfettamente rappreso. E dopo aver gustato uno stelo di sedano anche il sancièli arùci. Quindi la frutta e i bei mustazzòla accompagnati dal Moscato di Noto.