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La “dorci vita”

Chiaramonte 1924. (p. 164)

Però, avemmo 2 chitarre e 2 mandoline, che con quelle strumente ci adevertemmo, poi che Paolo era lo più picolo e sapeva sonare molto bene, ed era consederato lo più meglio sonatore del paese. Io, recordo che sonava biduzzo. Ciovanni e Vito erino li più scasse di tutte. Ma Paolo copreva a tutte.
E quinte, recordo che era il 1924 ed erino li prime ciorne del mese di febraio, e non c’era una notte che non antiammo abballare. E tutto il quartiere di Santo Vito, quanto si faceva festa da ballo, sempre c’erimo la famiglia Rabito, e in tutte li sponzalizie c’erimo noi, poi che a tutte ci veneva più facile di invetare annoi, perché noi avemmo fatto i campagniole.
E quelle ebiche erino tempe miserabile, che li mascie facevino li feste da ballo tra loro mascie, li contadine facevino feste di aballo tra loro, li pecoraie facevino feste da ballo tra loro, ma noi, però, erimo amice con tutte, con picoraie, con operaie e con contatine. E quinte, perché sapiemmo sonare, ci amitiavino  tutte. E così ni pasava la vita, sempre senza solde, ma piene sempre di devertemente.
E recordo che quella povera di mia madre non la faciammo dormire maie, e in quello damoso dove noie stapiemmo sempre c’erino feste da ballo. Così, abiammo preso la «dorci vita» e non penzammo altro che a feste di aballo. E tutte li mattine sempre c’erino chiachire, perché li mieie fratelle, il divertemento, ci piaceva, ma a ura di alzarese per antare allavorare non zi volevino alzare.